venerdì 19 dicembre 2008

"In memoria" - rev. Martin Luther King

Buio, oscurità, nero. Piccole fiammelle danzano su candele mosse da aliti invisibili, sembrano le anime di coloro che sono morti per il motivo per cui nasce questa serata, sembra che siano tornate per poter essere presenti a testimoniare le atrocità di un tempo che dovrebbe essere passato ma che invece è ancora dolorosamente presente e a ribadire che nonostante tutto c’è ancora una speranza nel futuro a patto di nutrirlo col ricordo.
Silenzio, quiete, immobilità. Lo spazio è scandito solo dal ritmico battere dei tacchi sul marmo, amplificato dalle grandi navate che danno asilo a chi è giunto stasera, chi per curiosità, chi per sapere, chi per sentire.
La gente è seduta, tranquilla, mormora nell’attesa dell’inizio di qualcosa che forse molti non hanno nemmeno coscienza di quello che sarà. Poi d’improvviso un frusciare di vesti dal buio fa voltare molte teste. Un clangore di catene accompagna questa terrifica processione. Giungono silenziosi, sembrano non voler disturbare, sembrano non curarsi di chi li sta guardando, ma sono superbamente coscienti dell’effetto e del significato che ha il loro ingresso. Due ali di bianche presenze incappucciate, un ossimoro vivente simbolo di maligna purezza.
Gelo, stupore, tensione. La gente ammutolisce, si guarda, si chiede chi siano e cosa vogliano quelle figure mascherate. L’impatto emotivo è forte anche per chi non ha mai provato, non ha mai subito, non ha mai sentito la compagnia di quegli amici che portano dolore, paura, minacce, persecuzione, segregazione; di quegli amici bianchi che seminano il terrore e portano la morte e se anche non giunge quella fisica, quella dell’anima è un mostro affamato che giorno dopo giorno ti dilania dentro fino a mangiarti la vita e la libertà; di quegli amici bianchi che si nascondono dietro cappucci, che si vantano delle loro azioni ma che non sono orgogliosi di farlo mostrando la loro faccia; di quegli amici bianchi che rispondono al nome di Ku Klux Klan.
Poi tutto si stempera nella musica e nella parola. I cappucci spariscono un po’ alla volta, lasciando spazio alla voce. Una voce che guida tutte le altre, una voce che risuona potente nel silenzio, una voce che si espande come un eco e che coinvolge tutto e tutti. Note di musica e di speranza si elevano in una richiesta di aiuto per superare i dolori, le botte, le aggressioni, subite e da subire ancora, ma si espandono oltre in un messaggio che appare lontano ma quanto mai presente.
Il passato prende vita e riporta tutti ad un pomeriggio del 1963, il freddo 19 dicembre diventa un assolato 28 agosto e la Basilica delle Grazie di Udine diventa la spianata difronte al Lincoln Memorial di Washington.
Un uomo, un negro, un reverendo prende la parola e tutto attorno sparisce, non importa più se sei nero o bianco, non importa più se sei italiano o americano, non importa più se sei ricco o povero, rimane solo una voce, una voce coi fruscii di un passato, una voce che ci descrive un sogno, un sogno che parte da Rosa Parks che non volle alzarsi sull’autobus ed arriva fino a Barak Houssin Obama che ha corso fino alla Casa Bianca.
Un discorso intercalato da canzoni che ne riprendono e sottolineano l’oggetto, si canta della disperazione della condizione dei neri, si canta dei fardelli pesanti da portare, si canta del dolore della schiavitù, ma si canta anche della speranza in una nuova vita, si canta della gioia di essere tutti figli di Dio, si canta della libertà.
Ed al risuonare di quella parola, LIBERTA’, spariscono anche le tuniche, bianche ma non candide, macchiate dal ricordo di delitti incancellabili. Si dovrebbe chiudere un percorso, il percorso del nero che anela alla liberazione del corpo e dell’anima ed il percorso del bianco che prende coscienza dei proprio atti e si libera dei propri peccati. Putroppo però il cammino non è ancora concluso, 3 mesi dopo, il 22 novembre 1963, John Kennedy viene assassinato da un suo fratello bianco, 4 anni dopo, il 4 aprile 1968, Martin Luther King fu assassinato a colpi d’arma da fuoco.
Ed allora si capisce il perchè di tutto ciò, si capisce il perchè di questa serata, si capisce il perchè di questo viaggio nel passato. Siamo qui per continuare a marciare nella direzione presa da Rosa, da Jesse, da Martin, da Obama, siamo qui per continuare a sperare, siamo qui per tenere vivo il ricordo di quanti anno lottato e combattuto in nome dei diritti di ogni uomo, in nome della pace e della libertà, in nome di un mondo migliore, e lo facciamo cantando con la voce, con il cuore e con l’anima le vite e le sofferenze di quei protagonisti.

1 commento:

Unknown ha detto...

...complimenti Monica hai reso perfettamente il significato di questa serata. E' stata un'esperienza unica che ha fatto vibrare le nostre anime e ci ha fatto essere, seppur virtualmente, vicino a Martin Luther King in quel suo discorso che ha cambiato il mondo